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1 La Maestà del Duomo
2 La celebrazione della bellezza
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Duccio di Buoninsegna (1255 ca.- 1318 ca.) fu non solo l’incontrastato caposcuola della pittura senese del Trecento ma senza dubbio uno dei più raffinati, ammirati e celebrati artisti dell’intera età gotica. Fu proprio grazie a questa conquistata posizione di assoluto predominio culturale e artistico che ricevette, nel 1308, come testimoniano alcuni documenti, la commissione di realizzare un grande polittico, con la Maestà, ossia la Vergine in trono, circondata da angeli e santi, destinato all’altare maggiore del Duomo di Siena.
L’opera, oggi nota come Maestà del Duomo, continuava quel programma di celebrazione della Madonna avviato, pochi anni prima, con la vetrata duccesca dell’abside e che si sarebbe concluso in seguito con l’esecuzione di altre quattro pale, sempre a tema mariano, commissionate a Simone Martini, ai due fratelli Lorenzetti e a Bartolomeo Bulgarini. In tre anni di intenso lavoro, praticamente senza aiuti di bottega, Duccio realizzò 32 grandi figure, 10 mezze figure e quasi 80 figurazioni, organizzando una complessa iconografia alla cui definizione potrebbe aver collaborato il domenicano Ruggero da Casole, vescovo di Siena.
Nel 1311, la pala fu collocata nella cattedrale dopo una solenne processione che partì dallo studio del pittore e alla quale parteciparono le massime autorità religiose e civili della città, assieme all’intera cittadinanza. Racconta un testimone che quel giorno tutte le botteghe di Siena rimasero chiuse in onore dell’evento. Tale testimonianza certifica il carattere di grande valore civile, oltre che religioso, che a questo capolavoro i senesi riconobbero in quegli anni: attraverso l’opera di Duccio, Siena volle affermare la propria grandezza.
La Maestà del Duomo
La pala è oggi divisa in singoli pannelli, giacché nel 1711 si decise, sciaguratamente, di smontarla per ricavarne altre due pale da collocare sopra due altari minori del Duomo. Nel 1878 il polittico fu parzialmente ricostruito nel Museo dell’Opera del Duomo di Siena; alcune tavole, però, sono conservate in altri musei, in particolare al British Museum di Londra. Un tempo, invece, la Maestà del Duomo si presentava come una complessa struttura dipinta da entrambi i lati.
Il prospetto frontale accoglieva una monumentale Madonna con Bambino, seduta in un trono di marmo intarsiato e circondata da 20 angeli, 2 apostoli, 6 santi tra i più venerati della tradizione e 2 sante. Questi personaggi celesti sono distribuiti su tre file parallele e si dispongono simmetricamente rispetto alla Madonna.
Alla base del trono è possibile leggere, in latino, la seguente dedica dell’artista alla Vergine: MATER S(AN)CTA DEI / SIS CAUSA SENIS REQUIEI SIS DUCIO VITA TE QUIA / PINXIT ITA (Madre Santa di Dio, sii motivo di pace per Siena, sii Vita per Duccio perché ti ha dipinta così). Maestà del Duomo di Siena
In primo piano, inginocchiati, si riconoscono i quattro santi protettori di Siena (Ansano, Savino, Crescenzio e Vittore), mentre alle estremità, in piedi, sono raffigurate le due sante (Caterina a sinistra e Agnese a destra). Affiancano Maria gli altri quattro santi (Paolo, Giovanni Evangelista, Giovanni Battista e Pietro).
Il trono della Vergine è posto sotto una tribuna da cui si affacciano, a mezza figura, gli altri dieci apostoli. In origine, tutte le tavole erano racchiuse da una cornice monumentale, che ospitava una fascia alla base, o predella, dov’erano illustrate 7 scene dell’Infanzia di Cristo alternate a figure veterotestamentarie. La pala era coronata da sette cuspidi, in sei delle quali erano raccontati gli ultimi giorni della vita di Maria. La cuspide centrale, più grande (e purtroppo perduta), presentava, forse, le scene con l’Assunzione e l’Incoronazione della Vergine.
La parete opposta del polittico ospitava 14 pannelli con 26 scene della Passione di Cristo, che si svolgono, come un libro illustrato, dall’Ingresso di Cristo a Gerusalemme (in basso a sinistra) fino all’Apparizione di Cristo a Emmaus (in alto a destra). Da questa parte, la predella riportava alcune Scene della Vita di Cristo (prima della Passione) e, nelle cuspidi, le sue apparizioni dopo la Resurrezione. Maestà del Duomo di Siena
La celebrazione della bellezza
La Maestà del Duomo di Duccio è stata consacrata come uno dei vertici della pittura italiana su tavola. È, infatti, una mirabile celebrazione di bellezza, da intendersi come promessa di felicità. Pur immaginandola in Paradiso, Duccio umanizzò la Vergine in modo lirico e convincente a un tempo. La Santa Madre inclina soavemente il capo, come a indicare il Bambino che ha in braccio, e ha un’espressione tenera, confidenziale ma intensamente malinconica: ella è ben consapevole, infatti, del dolore che il Figlio ha dovuto patire per riscattare l’umanità.
Allo stesso tempo, però, essendo Madre della Chiesa, non può dimenticare tutti gli altri suoi figli, che ogni giorno della loro vita percorrono il proprio difficile cammino di salvezza. È a loro, infatti, che si rivolgono il suo sguardo e il suo pensiero. In questo capolavoro, Duccio è riuscito a coniugare tradizione e modernità, eleganza e grandiosità, vibrazioni cromatiche ed effetti spaziali.
Per ogni dipinto sacro e celebrativo posto in posizione privilegiata, la tradizione richiedeva venissero rispettate alcune convenzioni: una certa frontalità della Madonna, più grande delle altre figure, i tratti somatici dei personaggi sostanzialmente indifferenziati, la mancanza di sviluppo spaziale in profondità. Duccio rispettò le richieste. Eppure, non si accontentò di riproporre sterili schemi bizantini. Per esempio, se la sua ricerca fu di certo cromatica prima che volumetrica, egli usò i colori come gli accordi musicali di un inno sacro, rendendo in qualche modo percepibili le masse dei corpi.
Al carattere ufficiale della faccia anteriore, quella posteriore risponde, con un tono più delicato e commosso, entrando nel cuore del mistero cristiano. Il racconto della Passione si svolge con sensibile leggerezza e consente a Duccio di cimentarsi con una dimensione più narrativa della pittura, normalmente a lui non congeniale e nella quale era invece maestro Giotto. I suoi protagonisti si muovono con gesti pacati, silenziosamente, più spettatori, che attori, degli eventi che stanno vivendo.
Gli spazi, poco definiti (se non improbabili, prospetticamente), fanno più da contorno che da contesto. Si consideri, per intendersi, il suo Bacio di Giuda, che certo vien voglia di confrontare con quello giottesco degli Scrovegni. Stessi personaggi, medesimo evento, uguali dettagli. Ma qui manca l’irruenza della Storia, il racconto si svolge con tenera e commovente compostezza. Maestà del Duomo di Siena